Il campanile scocca lentamente…

… le sei. Per chi avesse già rimosso i propri ricordi infantili natalizi – nonostante il tempo che tende, comunque, a mantenerceli ben vivi – ricordo anche la strofa precedente: “Presso quell’osteria potremo riposare, ché troppo stanco sono e troppo stanca sei”. E dato che tutti aspettate con bramosia l’ultima parte del racconto di Maria Cristina prima di lanciarvi nell’editing, eccovela! Come sempre, buona lettura! Ah, stavo dimenticandomi: Lo spazio nero è tornato! Potete leggerlo direttamente nel sito che, attualmente, lo ospita: Postille al Canone Occidentale. Eventuali commenti sono ben graditi!

Davar, di Maria Cristina Ansoldi – Parte Terza

”Matrimonio” scorgo scritto sulla prima pietra: è leggera, porosa, chiara e quasi inconsistente. “Fedeltà”, vedo su una seconda pietra ruvida e di forma irregolare, tagliente. Poi vedo le altre rocce, girano come pianeti di un’insolita galassia e producono un suono singolare, come il ronzio fastidioso di un grosso insetto.“Complicità… comprensione… amore… delusione…”; ci sono tutte le parole che ho scagliato, velenose, contro Paolo. Parole dense di significato e pesanti come massi sul mio cuore. Infine eccola, c’è anche un’altra parola, scolpita con segno profondo su una roccia basaltica, scura e traslucida. Mi ricorda una lapide tombale per lucentezza e colore: è la parola più triste, l’ultima, la parola “Fine”.

Sento serpeggiare la paura, non so bene neanche io che cosa temo. Forse è perché le rocce sono più reali di quanto pensassi. Mi rendo conto d’un tratto che ogni volta che prendo in mano il libricino e leggo quelle poche cose che riesco a compitare, non a caso, poi vedo le pietre-parole.
Devo andare a fondo, capire cosa succede: il libro è la chiave di tutto, lo intuisco.

Elenco telefonico alla mano, cerco il numero della comunità israelitica della mia città; lì forse qualcuno potrà aiutarmi. La voce dall’altra parte del filo è freddamente cortese. Io sono imbarazzata ma mi viene un’ispirazione: chiedo se qualcuno mi può aiutare con una traduzione e accenno, vagamente, a un libro in mio possesso, un libro antico, preciso. Non dico tutto subito, qualcosa mi trattiene. La voce al telefono è esitante, in essa percepisco un enorme punto di domanda inespresso. Ottengo un appuntamento con un giovane studioso, assistente del rabbino.

Il giovanotto è educato ma formale. Gelido, continua a lanciarmi occhiate perplesse, senza guardarmi direttamente negli occhi.
Gli porgo il mio libretto e subito colgo un lampo nei suoi occhi, come un guizzo. Immediata sopraggiunge la sua prima domanda: “Com’è venuta in possesso di questo volume?”.
Mi sento quasi una ladra e non ho il coraggio di dirgli la verità, così invento un ritrovamento nella soffitta di una casa recentemente acquistata.
Non gli lascio lo spazio per altre domande e a bruciapelo chiedo di cosa tratti il libro e cosa spieghino le note scritte a margine.
Sospira, è restio a parlare, poi mi dice:” Il libro è l’opera di un cabalista, è un libro piuttosto raro. E’ scritto in ebraico, ma le note a mano sono in yiddish”.
Forse il mio sguardo ebete è eloquente; ho capito ben poco di quanto ha detto. Lui mi guarda, forse si aspetta che sia io a dargli qualche altra spiegazione. Mentre, come una stupida, balbetto:
“cabalista? … yiddish?”
“Lo yiddish è la lingua quasi in disuso parlata nei ghetti mitteleuropei: una mescolanza di ebraico e antico tedesco…”. Ogni volta che parla, sembra bloccarsi e non voler aggiungere altro, come sperasse che io smettessi di fare domande. Sembra imbarazzato e anche un po’ seccato, ma io non demordo, insisto: “Cos’è un cabalista?”. La domanda è troppo diretta e lui non può più esimersi dal rispondermi, anche se, intuisco, a malincuore.
“… uno studioso, uno studioso un po’ particolare della Torah, la Bibbia ebraica. Un cabalista studia le dottrine sacre, misteriose, esoteriche anche attraverso le lettere della Lingua sacra…hanno un grande potere…”
“Quale?”
Sospira. “Non ha mai sentito parlare del Rabbino Loew di Praga?”
“No, non ne so nulla.”
“Si dice che quell’uomo, con preghiere, con parole, formule segrete, col potere dato dalla conoscenza delle lettere sacre, diede il soffio della vita al Golem, un fantoccio d’argilla, una specie di automa, uno strumento di morte nelle sue mani… dopo che gliene sfuggì il controllo. Questo per farle capire che nella Khabbalah le lettere, le parole hanno un grande valore… un grande peso. Anche l’Onnipotente ha creato, in principio, con la parola….luce disse e luce fu… chiamò ogni cosa col suo nome ed ebbe inizio la vita così come noi la conosciamo: sono bastate poche Sue parole perché dal nulla nascesse il mondo meraviglioso che ci circonda. Siamo noi uomini che spesso dimentichiamo il peso, l’importanza delle parole. Non sono aria, fiato, non sono solo suono vuoto. Le parole possono avere un grande potere creativo o distruttivo . Sono cose reali, sono consistenti; hanno, come dire … un loro… peso, hanno una loro vita in un mondo parallelo da cui, spesso, le caliamo nella nostra dimensione. Possono essere come pietre…”
A questo punto mi guarda interrogativamente, quasi pentito di avermi detto tanto.
Io incalzo : “E le note, cosa dicono le note?”
“Sono formule, formule cabalistiche appunto…c’è un aspetto quasi ‘magico’ nella Khabbalah, spesso disapprovato dai saggi… ma nel male c’è sempre un po’ di bene.
Oggi sono pochissimi i cabalisti, ma pronunciando questa formula, e apre il libretto che si spalanca automaticamente là dove c’è la annotazione sottolineata, “questa formula, in particolare, se pronunciata ad alta voce, potrebbe materializzare le parole, farle diventare armi o blandizie a seconda dello stato d’animo di chi le pronuncia.”
“Cioè vuol dirmi che dovrebbe trasformare le parole in oggetti, in cose reali?” .
Mi guarda e poi , con semplicità prosegue: “Vede, in ebraico, c’è un vocabolo, DAVAR, che ha un doppio significato. Davar vuol dire parola ma davar significa anche cosa. Il concetto è chiaro: le parole sono cose reali e vanno sempre soppesate…non è vero che “verba volant”. Non vanno mai usate alla leggera. La parola è sempre creazione. Può fare del bene o del male a seconda di come viene usata.”

Lascio lo studente con una nuova consapevolezza e rifletto come sempre a voce alta.
Ogni libro, anche il più banale, porta con sé un’idea, un insegnamento, fosse anche un unico concetto o una sola parola: è questo il vero piacere, la gioia della lettura. I libri non tradiscono mai le nostre attese, regalano sempre la gioia di imparare qualcosa di nuovo… anche se non si riesce a leggerli. Sorrido divertita: anche da questo libro ‘illeggibile’ ho appreso qualcosa, una lezione di vita giuntami come una serendipità, un dono inaspettato, foriero di gioia, proprio nel momento in cui più ne avevo bisogno. Alzo gli occhi e vedo una soffice nuvola bianca fluttuante con scritta a caratteri cubitali la parola GIOIA.

10 thoughts on “Il campanile scocca lentamente…”

  1. Bellissima l’idea di scrivere tra due asterischi le riflessioni della protagonista su sé stessa, ma le ritengo troppo lunghe e quindi spezzano il racconto. Inoltre andavano riprese in ogni parte del racconto anche perché la protagonista riflette spesso ma non ci sono più gli asterischi che racchiudono i suoi pensieri. Scrittura colta, argomento a me poco conosciuto e per questo motivo i salti di tempo e di luogo continui mi hanno creato confusione. Ma forse ciò è dovuto al fatto che ignoro l’argomento in questione. Sono d’accordo con Adriano, troppe pietre volanti che confondono le parti: non si capisce di quale notte tu stia parlando, anche perché inizi il racconto con “Eccole di nuovo”. C’è anche un’incongruenza grossa: la protagonista legge una nota in lingua sconosciuta e dice che” la lingua aveva un suono grave e armonioso insieme” ma se non conosce la lingua come fa a sapere quale sia il vero suono di quelle parole?
    Molto bella l’idea di mostrare la vita reale della protagonista e il cambiamento che avviene in lei grazie al libro, ma per un lettore ignorante in materia, la spiegazione finale sulla Kabbalah e i suoi poteri magici appare come una fiaba perché, ovviamente, non avevi abbastanza tempo letterario per spiegare approfonditamente questo argomento. Magari lo stesso discorso si poteva fare con un altro libro meno complesso.
    Concludendo: io cercherei di ripulire i salti di tempo e d luogo dando più uniformità al racconto in modo che il lettore non si perda, non ribadirei troppo il concetto delle pietre volanti e invece approfondirei un po’ di più il cambiamento della protagonista attraverso il libro, e perché alla fine lei è gioiosa: perché ha finalmente scaricato l’amore stantio? Perché possiede un libro antico che fa invidia a tutti i rabbini della terra?
    L’argomento, comunque è molto interessante, ma quando mai la scrittura di Kitty non lo è?

  2. Cara Kitty ho aspettato l’intera pubblicazione del racconto per darti un ritorno. Secondo me la seconda parte è ripetitiva e un pò rindondante, l’argomento è nuovo e interessante ma lo hai espresso in modo didascalico specialmente alla fine del racconto,ed è un peccato, perchè il tuo personaggio femminile potrebbe avere un cambiamento durante la storia che tu non hai evidenziato abbastanza.
    Comunque è sempre un piacere leggere i tuoi racconti sono colti e si impara sempre qualcosa di nuovo sulla cultura ebraica!
    Ciao Federica

  3. Ale e Fede: grazie per i vostri azzeccatissimi commenti,in effetti ho un po’ il vizio di fare la maestrina-deformazione professionale?-
    Inoltre è un po’,’ sproporzionato, tendo sempre a ‘tirare via ‘ col finale, una specie di smania di finire.qQunto a ripetitività e ridondanza sono dovute al fatto che cercavo di far capire gli effetti della formula magica.
    Grazie a voi per aver messo a fuoco quello che non va.

  4. Scusami Kitty se non ti ho ancora dato una mia impressione sul tuo racconto.
    Ho avuto casini che non mi hanno ancora psrmesso di farlo.
    Domenica mi sono stampato la storia per intero e a breve la rileggo e poi ti dico.
    Adriano.

  5. Eccomi qua.
    Mi ritaglio volentieri questo tempo per te Cristina,scusandomi ancora per averti fatto aspettare.
    Ho letto e riletto il tuo racconto e devo dire che malgrado le imperfezioni fatte notare da Alessandra oserei dire che questo pezzo non ha ottenuto il giusto riscontro a causa del “Fuori corso” in cui è stato inserito.
    Il messaggio che tu vuoi trasmettere arriva chiaro ed io lo condivido.
    Le lacune strutturali che ti abbiamo trasmesso hanno fatto perdere un pò, ma l’idea è buona.
    Come nota mia personale vorrei aggiungere:
    Non ho sentito forte abbastaza, l’intuizione che tu dici di aver avuto
    – il libro é la chiave di tutto-.
    Poi alcune parole da te usate come ad esempio: compitare, mi sono parse strane e staccate dal testo.
    Come ultima nota direi che tu come tutti noi abbiamo fatto racconti liberi non a Tema come richiesto usando la sola parola Gioia come pretesto.
    Un Abbraccio.
    Adriano.

  6. Se uno dei messaggi è: “le parole vere pesano come pietre” il risultato è raggiunto. Il racconto accelera nella terza parte e, effettivamente, dà l’impressione di voler concludere un po’ troppo in fretta. Permane il gusto dello stile alla “Ruiz Zafon”. La tua conoscenza ebraica ti può permettere di costruire racconti “magici” e di profonda riflessione. Grazie. Ho imparato cose nuove su questa cultura.

  7. Tutti : credo non ci saranno altri commenti da parte vostra e così dico la mia.
    1 innanzi tutto dò ragione ad Adriano quando afferma che ci siamo poco concentrati sul tema Gioia. Mi pare Che solo Ale e federica si siano avvicinate al task.
    2 avete colto perfettamente la mia difficoltà nel dare una giusta proporzione alle varie parti di un racconto che rimane quindi squilibrato.
    3non sono d,accordo invece sul fatto che non si possa ‘compitare’ una scritta in una lingua sconosciuta ,sempre che il testo sia scritto in caratteri leggibili e specialmente se una persona ha competenze linguistiche in una lingua affine (yiddish e Alto tedesco ad es.;) )
    Compitandola si può anche produrre un suono!.
    4.ripetitività e ridondanza.forse ho un po’ esagerato, ma secondo me sono funzionali alla trama.
    Vi ringrazio tutti ,mi avete fatto riflettere sgu tanti aspetti della mia scrittura. A presto
    Kitty

  8. Flavio : in effetti hai ragione ricorda un po’ lo stile Zafón- tra l’altro non me n’ero nemmeno accorta prima che tu me lo facessi notare- e forse anche un pizzico di Garcìa Màrquez , altro autore che adoro. Credo che ci sia una spolveratina di realismo magico dovuta a 2 fattori: amo gli autori che mescolano realtà e fantasia e poi i lunghi soggiorni in Sud America hanno lasciato il segno.
    Altro difetto che hai messo in luce , giustamente, è l’aver dato più spazio al tema ” le parole pesano come pietre ” mentre la “gioia di apprendere da un libro” é passata in secondo piano.
    Grazie per gli apprezzamenti.
    Kitty

  9. Ciao Kitty! Ti chiedo scusa per il ritardo ma ero sotto effetto di farmaci e ho evitato di scrivere ; ) Ho letto con molta attenzione il tuo racconto e cercherò di darti un’opinione che si discosti dalla mia naturale simpatia per le tue idee. Comincio col dirti che la punteggiatura e la grammatica, a parte sviste di battitura, mi sono sembrate particolarmente curate e corrette. Il ritmo narrativo mi è parso tuttavia, a tratti, un po’ troppo rallentato per il concetto che volevi esprimere. Mi sono talmente fissata su queste pietre da aver dimenticato totalmente che si trattava di un racconto sulla gioia. Bellissime le parti prive di asterischi, che a mio avviso potevano esprimere benissimo l’idea senza dover inserire per forza ripetizioni che rallentano notevolmente il fluire delle parole. L’ultima parte mi è sembrata più da manuale che la naturale conclusione di un racconto. Forse manca qualcosa alla fine, mentre l’inizio abbonda di informazioni. Detto questo, ho trovato l’idea davvero originale e affascinante! Felicia

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