In fondo alla notte

Comincia da oggi, su questo sito, una nuova rubrica intitolata, inequivocabilmente, Recensioni. Al suo interno troverete, semplicemente, il mio punto di vista su alcune opere di recente – o non recente – pubblicazione. Sarà uno spazio dedicato sia agli autori sia alle case editrici; uno spazio nel quale inserirò gli scritti che riterrò più validi e interessanti fra tutti quelli che arriveranno sulla mia scrivania. L’onore dell’inauguazione spetta a Hugues Pagan con il suo In fondo alla notte. Buona lettura.

C’è un tratto che distingue la “buona scrittura” dalla scrittura: la capacità di gestire le parole, di farle risuonare dentro il lettore e di raccontare, contemporaneamente, anche storie molto diverse fra loro. Ellery Queen – pseudonimo dei due cugini statunitensi Frederic Dannay e Manfred Bennington Lee – riusciva a inserire nei propri testi elementi sempre diversi e spiazzanti.

Ne “L’origine del male”, del 1951, Ellery stesso – nudo ma con sandali messicani ai piedi – descrive con minuzia di particolari la vittima che ha davanti agli occhi. Ogni termine è scelto con cura e l’illusione che quest’ultima sia una donna crolla solo quando il protagonista – con la semplice frase “Povera Hollywood!” – ci rivela che, in realtà, sta semplicemente rimirando la città dove ambienterà il suo prossimo romanzo.

Hugues Pagan, fra le tante, ha perfettamente imparato anche la lezione di Ellery Queen.

Non a caso, la prima descrizione femminile che ci riserva, a pagina 8 del romanzo “In fondo alla notte” – edito da Meridiano Zero nel 2007 –, è quella di Dizzi Mae. Analogo gioco ma differente protagonista: Dizzi Mae, infatti, è un’automobile. Ma ce ne accorgiamo solo dopo tre capoversi. Giochi di parole e riferimenti classici – e meno classici – sono solo due caratteristiche di quest’opera che non fa della sola competenza letteraria il proprio punto di forza. Anzi, da questa – innegabile – trae forza per raccontare una storia scomoda, nera e “vera” che riesce ad avvincere e a conquistare il lettore.

Per chi ama il genere – e conosce l’ex poliziotto Pagan e i suoi precedenti lavori – alcuni punti della trama possono non destare troppa sorpresa. Ma non è un aspetto importante. Anzi, paradossalmente, la mancata ricerca dell’effetto “a ogni costo” o dell’improbabile e continuo colpo di scena – per quanto non ne manchino sicuramente – è più un pregio che una mancanza. Le vicissitudini di Jacques Cavallier, anche lui ex poliziotto, si svolgono in un crescendo continuo di complessità e di consapevolezza. In una giostra vorticosa e incalzante di incontri, scontri e confronti sottolineati da un linguaggio duro e al contempo lirico. Un linguaggio composto da frasi brevi e asciutte in grado di dare il senso stesso del “male” che circonda ogni essere vivente e dal quale la maggior parte delle persone che hanno deciso di affrontarlo, poi, non possono più sottrarsi.

Ha perfettamente ragione – dal mio punto di vista – Valerio Evangelisti quando di questo stesso libro dice: “Una bella lezione per gli autori di noir italiani”. Ma personalmente ritengo che per molti sia un esempio troppo difficile da seguire: Pagan parla di Cavallier ma racconta le proprie – vissute – esperienze. Si illude e disillude con il proprio protagonista perché entrambi conoscono qualche cosa della vita che a molti di noi sfugge. Beve con lui alla nostra salute e ci sorride elargendoci, senza supponenza, qualche stralcio di una verità altra che possiamo solo supporre che esista. E che spesso neanche vorremmo conoscere.

A metà fra il poliziotto e il romanziere, a metà fra la finzione e la realtà, Pagan e “In fondo alla notte” ci sanno colpire in pieno stomaco senza stordirci. Sanno esattamente quali sono le illusioni che ci costruiamo per vivere e su quelle stesse illusioni giocano. E non solo con le “belle parole”.

In fondo alla notte
di Hugues Pagan
Meridiano Zero Editore
traduzione di Valeria Caredda
Pag. 192 – Euro 13,50
ISBN 88-8237-168-5

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