Mi chiamo Steve

Nello scritto che state per leggere, Alessandra Castelli ci conduce alla scoperta de “Il bar delle grandi speranze” di J. R. Moehringer. Bevetevelo tutto d’un fiato!

di Alessandra Castelli

Steve. Così mi chiamò Dickens, come il grande scrittore, allo scopo di rendermi un pub piuttosto atipico. E devo dire che ci è riuscito proprio bene! Grazie al nome prestigioso, infatti, sviluppai una vera e propria passione per le vicende umane dei miei clienti; anche per quelle un po’ romanzate. E questo divenne il mio carattere distintivo. Quando poi Steve mutò il mio nome in Publicans, ero già completamente padrone del mio stile per cui non smisi di occuparmi di storie. L’abitudine diffusa di modificare il nome dei locali pubblici a me non piace per niente, ma è il modo più semplice e veloce per aumentare il giro degli affari del locale. Con poco sforzo si guadagnano nuovi clienti che, incuriositi, entrano sempre a dare un’occhiata. Il trattenerli, invece, è tutta un’altra questione. E nella mia lunga vita di pub americano, Steve è stato l’unico proprietario capace di inchiodarli ai miei tavoli. Era un uomo così singolare da catalizzare la simpatia di ogni maschio di Manhasset che non fosse astemio. E questo spiega la mia celebrità.

Come Publicans, ovviamente, ero frequentato da tipi non comuni e se io rappresentavo il loro rifugio, forse addirittura “il loro mondo”, lo devo proprio a Steve che ha voluto fare di me quello che poi sono diventato. Avevo un regolamento tacito ma inequivocabile, che tutti rispettavano: se varcavi la mia porta non eri mai e poi mai uno qualunque e venivi accolto molto amichevolmente. Se piacevi a Steve, venivi battezzato con un nuovo nome, scelto da Steve in persona, e io diventavo la tua casa. A pensarci bene, la mia forza stava tutta lì, in quel codice d’onore implicito che mi rese una creatura “cosciente”, anche se limitata dalle quattro mura del mio essere un bar di provincia.

Nel suo libro Il bar delle grandi speranze, J.R. Moehringer racconta proprio di come io, il Publicans, abbia influenzato la sua vita, riconoscendomi così un ruolo molto importante e attivo nella sua complicatissima crescita. Quante volte ho sentito pronunciare questa frase:“ Se i muri potessero parlare…” ebbene i muri parlano, eccome se parlano, io ne sono la prova, e uno dei meriti di questo libro è proprio quello di avermi dato, finalmente, una voce chiaramente percepibile tra le sue righe Per lunghi anni sono stato il sostegno di tutti i cercatori di coraggio e J.R. era uno di quelli ma, giovane com’era, aveva anche bisogno di modelli e di risposte che cercò proprio qui, al Publicans. Ebbene, chiariamo subito che io non sono semplicemente l’ambientazione della storia di Moehringer ma rappresento qualcosa di più. Sono talmente importante da poter essere considerato, scusate l’immodestia, un vero e proprio ambiente –personaggio e sarà proprio J.R. a riconoscermi tale qualità.

Mi spiego meglio: il giovane J.R. figlio di una madre separata che viveva a Manhasset, era un bambino molto problematico. Non voglio raccontarvi le sue vicende, perché è di me che sto parlando, ma devo pur darvi qualche informazione su di lui se voglio che capiate i diversi ruoli che mi sono stati assegnati nel tempo. J.R. era un tipo molto insicuro e bisognoso di protezione, spesso si lasciava andare a scoppi d’ira furiosi che evidenziavano tutta la sua fragilità. Con la crescita, J.R. sviluppò una grande ammirazione per suo zio Charlie, barista al Publicans, che lo “inizierà” al rito del pub. Durante gli anni dell’Università io divenni per J.R. un punto di riferimento stabile e il suo anti –ansia per antonomasia. Ben riparato in un angolo del pub, il ragazzo ascoltava i clienti sempre ben disposti a dargli consigli e a farlo bere come una spugna. Questo tipo di frequentazione alcolica divenne l’unico mezzo a sua disposizione per affrontare la paura di vivere. Le mie mura delimitavano solidamente anche la sua vita e lui non aveva il coraggio di uscirne se non per motivi di mera sussistenza. Una volta si presentò al bar con un’amica di cui era molto innamorato e il pub fece del proprio meglio per piacerle ma, nonostante questo o forse proprio per questa ragione, lei mollò Moehringer subito dopo. Il bar sa essere un concorrente molto sleale e la bimba lo capì al volo.

Da quel momento il Publicans divenne l’unico amico di cui fidarsi e con il quale confrontarsi e la vita fuori dal pub era solo una parentesi inevitabile. Quando J.R. iniziò a scrivere questo romanzo tutti i clienti divennero i suoi correttori di bozze. Per intere nottate gli uomini del pub leggevano, alcuni con fatica, i fogli di J.R. commentando, consigliando e correggendo il lavoro con un entusiasmo e un orgoglio veramente commoventi. Sembrava che tutto potesse andare avanti così per sempre finché un bel giorno J.R. non si accorse che i miei clienti non gli offrivano più nessuno stimolo e che l’alcol gli impediva di realizzare i suoi progetti giornalistici. E in quel momento preciso iniziò il distacco di J.R. dal Publicans e come avviene per ogni distacco, il ragazzo mi rifiutò, carico di rancore e di amore nei miei confronti. Mentre diventavo il suo nemico, rappresentavo anche il Paradiso perduto e il legame simbiotico che andava spezzato. La sua avversione per me gli era molto utile per affrancarsi dalla dipendenza, non solo alcolica, che lo limitava a Manhasset. D’altra parte io gli avevo fatto da padre e da madre attraverso i mille volti e le mille voci dei clienti del pub e soprattutto attraverso Steve, che lo aveva tenuto stretto e amato per quello che era. Il pub è il luogo della fissazione, dell’oblio e della distrazione e non potrà mai, da solo, promuovere la crescita di nessuno. Il distacco non fu subito definitivo, ma alternato a vari ritorni durante i quali J.R. si sentiva un vero e proprio traditore. Nessuno gli ha mai chiesto il motivo di quelle fughe, consapevole com’era che J.R. stava conducendo una battaglia difficilissima.

La morte accidentale di Steve fu la spinta che ancora mancava a J.R. È brutto dirlo, ma fu così. La morte del grande proprietario ci lasciò orfani dell’allegria e della sicurezza di sempre. Chi poteva farlo, decise di chiudere e J.R era uno di quelli: scelse il taglio netto con l’alcol e con me e io ne fui molto orgoglioso. Questa volta ci lasciò con dolcezza mista alla nostalgia e la fiduciosa speranza di non bere mai più. Da quel momento, J.R. e io conquistammo ognuno la propria vita. Lui uscì dalla mia per vincere il Pulitzer e io divenni l’antagonista nel suo libro guadagnando così la dignità di personaggio contenitore di tutti personaggi del bar.

Scusate il mio linguaggio poco appropriato ma io sono solo un bar. Ho quattro mura solide e una capacità di comprensione notevole ma ero e resto, un bar di provincia. Non uno qualunque, intendiamoci, ma non sono nemmeno uno che se la tira e non voglio sembrarvi presuntuoso se parlo di letteratura. L’ho fatto solamente per due motivi che spero di avere così realizzato. Il primo è quello di far capire che, per piccolo che sia, un ambiente ha sempre una vita propria ben definita. Lo spazio e il tempo sono categorie essenziali per definire ogni locazione ma da sole non bastano. J.R. ha evidenziato i significati che il Publicans assunse rispetto ai diversi personaggi della storia. E così facendo, voi siete entrati a Manhasset, avete varcato la soglia del pub e ne avete respirato l’aria, certamente viziata e carica di esistenze complesse.

Il secondo e il più prezioso è il desiderio di affidarvi i miei clienti pregandovi di provare per loro almeno rispetto e commozione. Sono tutte persone fragili, ingarbugliate e spaventate ma anche capaci di slanci notevoli che le rendono davvero grandi. Incarnano la varia umanità dei perdenti, o presunti tali, che non hanno più voce nel mondo. La poca che ancora gli è rimasta, la spendono da me, accomunati da un desiderio di fratellanza; non solo alcolica.

Non sono soggetti da imitare, lo dico chiaro e tondo, ma da osservare attraverso le pagine di questo libro per trarne qualche insegnamento. Denominatore comune di tutti loro è la solitudine devastante che li separa dal mondo e li unisce al bar. E la Solitudine è sempre in agguato nella vita di ciascuno di noi e per fuggirla è molto facile entrare in un pub e rimanervi per sempre, soprattutto per i giovani.

J.R. ha raccontato con onestà la propria difficoltà di vivere, convinto che la narrativa abbia anche lo scopo di scoprire i tesori dell’esistenza. Vi rimane la responsabilità della scelta: imparare la lezione o lasciare che il racconto se ne vada per la propria strada. Nella mia vita di pub, ho visto pochissimi clienti uscire per sempre dalla mia porta e spesso mi domando che fine abbiano fatto. Spero che non siano seduti sugli alti sgabelli di un altro bar incapace di amarli perché io, solo io, ero e resto il Dickens pub.

Il bar delle grandi speranze
Di J. R. Moehringer
Prezzo € 17,50
2007 – 486 pgg.
Traduzione di A. Carena
Piemme Edizioni

3 thoughts on “Mi chiamo Steve”

  1. ale,” non lascerò andare il racconto per la sua strada”, grazie alla tua originalissima presentazione e poi sul tema della solitudine umana- vista la vastita’è estremamente interessante.kitty

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