Ritorno alla casa gialla

Solite regole, nuova sezione del racconto della “nostra” Alessandra Castelli. Prima di augurarvi buona lettura, però, vi ricordo l’importante appuntamento di questa domenica con il Seminario MacAdemia interamente dedicato a L’alchimia delle parole. Non mancate!

La casa gialla, di Alessandra Castelli – Parte Seconda

Dopo pranzo Paolo accese il ventilatore e mentre attendeva l’arrivo della fisioterapista per Silvana, l’uomo le tenne compagnia leggendo i giornali ad alta voce. La moglie si assopì poco dopo e lui, cessando di leggere, stette un po’ così, seduto, con il giornale sulle gambe e le mani abbandonate sui braccioli della poltrona. Osservò a lungo il viso della moglie, un tempo mobile ed espressivo, che ora sembrava quello di una bambola, gonfiato dalle cure. Paolo seguì con gli occhi la sagoma della moglie disegnata sotto il lenzuolo e pensò ancora una volta a quanto dovesse essere terribile non riuscire a muovere nemmeno un muscolo. Il sospiro che gli sfuggì ebbe il potere di riscuoterlo e, approfittando del sonnellino di Silvana, Paolo si alzò, scese in cantina e prese un mazzo di chiavi. Risalito in casa, aprì la porta del salone e vi entrò richiudendo la porta dietro di sé. Gli sembrava strano essere lì, dopo tanti anni. In quel salone lui e la moglie avevano ricevuto molti ospiti, avevano festeggiato tutti i compleanni, avevano atteso la mezzanotte degli svariati Natali e Capodanni. In quel salone lui era stato un uomo forte e felice e mai gli era balenato per la testa che non potesse essere che così. Ora tutto intorno a lui appariva vecchio e disfatto dal tempo e così futile che quasi ne ebbe fastidio. Una zaffata di muffa lo assalì ricordandogli lo sfacelo di quella stanza e, in fin dei conti, della propria vita e dei progetti che lui e Silvana avevano accumulato negli anni. Il rumore dell’anta di un’imposta che sbatteva leggermente sul davanzale, lo scosse e Paolo si diede un’occhiata in giro per valutare la situazione, poi iniziò a lavorare di gran lena fino all’arrivo della fisioterapista.
Il giorno successivo alle cinque del mattino, Paolo era già vestito e corse ad aprire il cancello per far entrare due furgoni. Gli autisti scesero assieme ad altri due uomini e in silenzio entrarono nel salone dove impacchettarono gli oggetti, i tappeti, i quadri e l’argenteria. Poi caricarono tutto su un furgone e sull’altro sistemarono i piccoli mobili. Fecero molta attenzione a non svegliare la Signora che dormiva in una stanza alla fine del lungo corridoio. Alle sei e mezzo il locale era completamente vuoto. Quando gli uomini se ne furono andati, Paolo chiuse a chiave la porta, riponendo il mazzo nel solito nascondiglio in cantina. Poi compì i soliti gesti per il risveglio di Silvana.
« Che hai? » gli chiese la moglie mentre Paolo finiva di imboccarla.
« Niente, cosa vuoi che abbia? » rispose lui sorridendole e uscendo subito dopo per riporre le stoviglie sporche in cucina. Ma non era vero. Lui, quella mattina, aspettava con molta impazienza l’arrivo di Gina e quando più tardi uscì di casa, si sentì schiacciare da un grande senso di colpa.
Gina sistemò i gerani vicino alla porta finestra in modo che la Signora potesse vederli:
« Guardi signora che spettacolo! Ci sa fare coi fiori suo marito, vero? » disse sorridendo.
La Signora sorrise a sua volta e subito dopo, dagli angoli degli occhi, le lacrime sgorgarono in un pianto silenzioso.
« Signora, non faccia così! Il Dottore se ne dispiacerebbe. Su, da brava, guardi i suoi fiori come sono belli» le disse Silvana avvicinandosi al letto e allungando una mano per confortarla, ma la Signora girò il viso dall’altra parte e Gina uscì dalla stanza, offesa e imbarazzata.
La donna andò in cucina per dimenticare la pena che aveva nel vedere la Signora ridotta in quello stato. Era stata felice, la Signora, e con lei era sempre stata buona. Gina le era molto affezionata ma da quando la Signora aveva avuto l’incidente, Gina non era stata più capace di trovare gli argomenti giusti per parlare con lei. Solo il Signor Paolo sapeva parlarle, e Roberto. Lei, invece, che prima spettegolava di tutti e raccontava per filo e per segno le vicende della propria e numerosa famiglia, ora non sapeva più cosa dirle. Aveva paura di darle fastidio perché la Signora spesso le diceva cose cattive e Gina ora ne aveva quasi paura. Fregò il marmo della cucina con molta attenzione. Non voleva che si rovinasse il bel marmo rosa che alla Signora piaceva tanto, perché una cosa Gina l’aveva capita: il Dottore voleva che tutto fosse com’era quando la Signora stava bene. Entrò in punta di piedi nella camera e vide che la Signora si era appisolata. Sollevata, tornò in cucina concentrandosi sulla brutta macchia del marmo. Proprio non voleva saperne di andare via.
Il telefono di Paolo squillò sulla piccola scrivania dell’ingresso, Gina non sapeva bene cosa fare, ma alla fine decise di rispondere:
« Sì, chi è? Chi? Pronto? » Gina ripose il telefono al suo posto e non pensò più al nome di quello sconosciuto che aveva sbagliato numero. All’arrivo di Roberto, Gina lo avvertì della tristezza della madre e poco dopo poté udire le risate della Signora, proprio come ai vecchi tempi.
« Roberto, guarda che tuo padre ha dimenticato il cellulare a casa. » lo avvertì Gina quando lo vide attraversare l’atrio per andarsene.
« Tanto, anche se ce l’ha, non risponde! » brontolò lui e uscì sbattendo la porta.
Tra Roberto e il padre non c’era mai stata confidenza né complicità, anzi. Roberto aveva sempre obbedito al padre senza discutere i suoi ordini e aveva cercato di essere il figlio che il padre voleva. Ma una volta adulto, Roberto aveva dovuto fare i conti con la rabbia che provava per il padre e che aumentava ogni volta che quest’ultimo risultava irreperibile, mentre a casa c’era una qualche emergenza. In quelle occasioni Gina si rivolgeva a Roberto che doveva mollare tutto e correre in suo aiuto, con i clienti che lo attendevano anche per delle ore. Villa Giulia sarebbe stata la soluzione perfetta per tutti: per il padre che sarebbe potuto sparire tranquillamente anche per giorni, se voleva, per la madre che così sarebbe stata assistita ventiquattr’ore su ventiquattro e per lui che non avrebbe dovuto tappare le falle paterne trascurando il proprio lavoro. L’irritazione crescente di Roberto però, rimaneva inespressa, scavando in lui piccoli tunnel di rancore.
Il tempo si mise a fare le bizze e il caldo infernale spesso veniva interrotto da un temporale improvviso che scuoteva gli alberi, facendo cadere una grande quantità di fiori e foglie. Il lavoro di Gina in quel periodo raddoppiò e proprio una di quelle mattine Gina uscì sul retro del cortile a raccogliere i panni stesi poiché il vento minaccioso portava nuvole cariche di pioggia. La donna stava rientrando in casa quando un’imposta del salone si spalancò all’improvviso. Gina trasalì e poi mandò a quel paese il Dottore che non si decideva ad aprire quelle benedette stanze: avevano certamente bisogno di una pulita e, probabilmente, di molta manutenzione. Accostando gli scuri, Gina sbirciò dalla finestra e quello che vide la lasciò senza parole. Tremando come una foglia Gina rientrò in casa; che il Dottore si comportasse in maniera strana lei lo aveva notato, ma ora era venuto il momento di parlarne con Roberto. Quando Paolo arrivò, con molto ritardo peraltro, Gina gli sorrise affabile, come sempre, e cercò di sapere dove fosse stato tutto quel tempo ma il Dottore evase tutte le domande e là congedò velocemente. Uscita dalla casa gialla, Gina cambiò l’espressione affabile e innocente in una molto decisa e puntò verso la fermata dell’autobus. Quello per la città.
Roberto accolse Gina con un sorriso che gli si gelò non appena vide l’espressione del viso della donna. La fece accomodare immediatamente e la ascoltò con attenzione finché le chiese:
« Ma ne sei sicura? »
« Roberto, credimi il salone è vuoto, completamente vuoto. A parte i divani e il cassettone non c’è più niente. Ora capisco la telefonata di quel Claudio o come si chiama degli sgomberi, Gesummaria!»
« Cosa c’entrano gli sgomberi? »
Gina raccontò della telefonata ricevuta sul cellulare di Paolo e come avessero subito interrotto la comunicazione, ma prima l’uomo sconosciuto si era presentato con un nome, che lei non ricordava bene, di una ditta di sgomberi, di quello ne era certa.
« Calmati, Gina, magari papà ha preferito mettere tutto in un deposito. »
« Non lo so, Roberto. Tuo padre è così strano! »
« In che senso? »
« Una volta stava sempre tutto nervoso con me e invece ora è sempre calmo e mi parla bene e a volte è persino gentile. E poi è sempre in ritardo. Tuo padre, capisci? Lui che è sempre stato un orologio. E poi fa tutte le cose… come posso dire, si guarda alle spalle, ecco! Gesummaria, non è più lui, ti dico. E poi parla piano al telefono. E tutte quel le stanze chiuse a chiave!»
« Tutte? »
« Si. Tutte. A parte la camera, la cucina, lo studio e il bagno. Gli sta dando di volta il cervello, a tuo padre, te lo dico io. Gesummaria, pover’uomo! »
« Va bene, Gina, ora calmati, ne parlerò a mio padre.» rispose Roberto pallido in volto.
« Sì Roberto parlaci tu. Se lo sapesse la Signora, poveretta! »
« La mamma non deve sapere niente. Va bene?»
Il tono di Roberto era così brusco, che Gina annuì, lo salutò e se ne andò di corsa. L’eleganza di quello studio le aveva messo soggezione e la conversazione con lui l’aveva turbata talmente tanto che Gina decise di entrare in chiesa prima di riprendere l’autobus per il paese.
Roberto fu occupato tutta la giornata e non pensò più alla visita di Gina, che lo aveva messo molto di malumore. Solo a sera, guidando sulla strada di collina che lo avrebbe portato alla propria casa, rifletté sulla conversazione avuta con la donna di servizio e, improvvisamente, tutto gli apparve chiaro:
« Accidenti Come ho fatto a non capire! » e per l’agitazione frenò bruscamente. Accostò la macchina al bordo della strada cercando di radunare tutti i pezzi di quello che sembrava un vero e proprio puzzle; il padre che spariva per ore, il telefono sempre spento e ora il salone svuotato di tutto, gli fecero pensare che il padre avesse un’altra relazione e piuttosto costosa, anche! D’altra parte, non era certo il primo uomo anziano a fare pazzie per una donna e, sebbene a Roberto paresse assurdo, quella era l’unica spiegazione plausibile, per il momento. Seduto in macchina poteva intravedere il tetto della casa gialla, dov’era cresciuto felicemente, che ora sembrava racchiudere al suo interno un ospite inquietante. Doveva agire e subito, se voleva cacciare quell’ospite che minava la vita stessa del padre. Avviò il motore e diede un’ultima occhiata alla casa prima di rimettersi in carreggiata.
Il giorno successivo, Paolo si occupò di varie faccende, cucinò e consumò il pasto chiacchierando allegramente con Silvana. La moglie rise divertita al racconto che il marito le stava facendo e Paolo avvertì la felicità scorrergli nuovamente nelle vene per quel piccolo, e improvviso, frammento di vita, dove tutto sembrava tornato come una volta. Silvana percepì i pensieri di Paolo e gli sorrise con tenerezza. Ecco cosa era rimasto tra loro, la tenerezza per quelli che erano stati un tempo. E questo a Paolo bastava.
Gina diede il grano alle galline e osservò, divertita, il piccolo Aldo correre sulle gambette grassocce. Lo squillo del telefono la fece rientrare, alzò la cornetta e rispose. Ascoltò con molta attenzione le istruzioni e alla fine domandò:
« Roberto ma che vuoi fare? Gesummaria! Mi metti nei guai!»
« Ma no, Gina, ti chiedo solo di dirmi quando vengono a prendere la mamma per il controllo. Ho bisogno di tempo per fare una cosa importante. »
« Gesummaria Roberto! Che devi fare? » chiese Gina con la voce lamentosa che Roberto non sopportava.
« Gina, non t’impicciare. » si spazientì lui. « Fammi sapere quando la casa sarà libera. Ciao. »
Gina riattaccò il ricevitore, seccata. Lei non aveva la minima idea di ciò che lui volesse cercare in quella casa, ma qualunque cosa fosse non era buona, perché non era fatta alla luce del sole.

Durante il mese di giugno, le sparizioni di Paolo si fecero più frequenti, Roberto notò che il suo corpo si abbronzava sempre più e che le sue attenzioni verso la moglie si facevano sempre più affettuose e sollecite. Ma c’era qualcosa di sospeso nell’aria che Roberto avvertiva ogni volta che andava nella casa gialla. C’era il segreto di Paolo chiuso a chiave dentro le stanze inutilizzate e c’era un imbarazzo diverso tra padre e figlio. Roberto s’irritava facilmente a ogni domanda, anche la più futile, che il padre gli poneva, mentre quest’ultimo eludeva tutte le risposte alle domande di Roberto. Si fronteggiavano e si studiavano a vicenda ma nessuno dei due apriva uno spiraglio per il dialogo. Roberto aspettava solo il momento propizio, che arrivò nei primi giorni di luglio con una telefonata di Gina:
« Il Dottor Gemmi ha ordinato il ricovero per domani per tutti gli accertamenti. Tuo padre andrà con lei.»
« Grazie Gina. »
Roberto si appoggiò allo schienale, poggiò i gomiti sui braccioli e unì le mani. Pur avendo atteso questa notizia a lungo, l’uomo avrebbe preferito che l’occasione non si presentasse. Voleva sapere e al tempo stesso, avrebbe voluto poter ignorare la cosa. Fissò il vuoto finché l’arrivo di un cliente non lo costrinse a ritornare alla realtà.

5 thoughts on “Ritorno alla casa gialla”

  1. Il racconto prende tantissimo, sarà perché é scritto in modo equilibrato, con un senso della realtà notevole.sembra di vedere un film con le inquadrature che si susseguono una dietro l’altra e costruiscono la storia. C,è una grande delicatezza di sentimenti ,senza essere stucchevole. Ben delinea te anche le dinamiche tra i personaggi: la tenerezza che ancora aleggia tra i due vecchi sposi, l’incapacitá d i creare un rapporto d i vera comunicazione tra padre e figlio, la colf spiazzata.
    Bravissima la nostra Ale
    Kitty

  2. Prima di provare a fare una critica, vorrei complimentarmi con Alessandra per il suo tenace lavoro che si manifesta nella generale scorrevolezza del pezzo e nella cura dei dettagli che rendono il tutto gradevole ed avvolgente.
    Però…
    questa seconda parte di molto simile alla prima per ritmo ed intensità conferma l’aria del giallo che si intravvedeva nella prima parte ed è per tale motivo che l’attesa degli eventi o dei colpi di scena si fa un pò troppo attendere, trattandosi di un racconto, da infatti la sensazione di avere il respiro d

  3. Scusami Alessandra ma è già la seconda volta che scrivo per niente, continuo domani.

    PS= Voglio fare pure io un pò di giallo.
    Adriano.

  4. Ciao Ale, il commento completo lo posto sotto la fine del racconto. Qui ti segnalo solo una frase che non fluisce particolarmente bene, al contrario delle altre. Secondo me vale la pena di darle una sistemata:

    Gina raccontò della telefonata ricevuta sul cellulare di Paolo e come avessero subito interrotto la comunicazione, ma prima l’uomo sconosciuto si era presentato con un nome, che lei non ricordava bene, di una ditta di sgomberi, di quello ne era certa.

  5. Intanto complimenti a tutti per i vostri commenti.
    Sono andata a vedere le definizione di gioia nel ” Dizionario ragionato dei sinonimi e dei contrari” di Gianni Cesana e dice:”la gioia è un vivo godimento dell’animo provocato da qualcosa di improvviso e inaspettato”.
    Alla voce felicità invece dice:”..è la condizione di chi ha o crede di avere tutto ciò che si può desiderare ed è pienamente soddisfatto”.
    Cosa ne dite? Ciao Federica

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