Tempo di libri è il titolo della Fiera dell’Editoria Italiana che si sta svolgendo in questi giorni – termina il 23 aprile – a Milano. Chiaramente, non è arrivato ancora il momento per trarre bilanci ma quello che – attraverso i media e il Web – si riesce già a cogliere è la disparità che c’è fra la quantità dei lettori italiani e quella dei libri che annualmente vengono immessi sul mercato. Secondo i dati Ansa, nel 2016 ben 33 milioni di italiani non hanno letto neanche un libro nell’arco dell’intero anno. Un numero impressionante che però diventa ancora peggiore se si somma il fatto che rispetto al 2010, questo valore è cresciuto di oltre 4 milioni. Contemporaneamente, i nuovi volumi cartacei pubblicati sono stati – secondo le fonti dell’AIE relative al 2015 -, ben 65 mila a cui, però, vanno aggiunti altri 63 mila ebook per un totale di 128 mila nuovi titoli. Pare quasi che aumentando l’offerta, cali proporzionalmente l’interesse dei lettori. Probabilmente ci sono centinaia di motivi più o meno validi che concorrono a spiegare questa strana situazione ma fra questi – a mio avviso – ce n’è uno particolarmente semplice: molti dei libri pubblicati non offrono, per vari motivi, una qualità sufficiente per lasciarsi leggere. Per scrivere efficacemente – dal mio personale punto di vista , infatti, non basta avere una buona ispirazione: sono necessarie sia le conoscenze teoriche sia le pratiche di scrittura. Non c’è nulla di nuovo in quello che ho appena messo in evidenza eppure, in linea generale, l’idea di frequentare una scuola di scrittura sembra molto distante dalla logica di molti, anche fra gli autori contemporanei. Eppure, nessuno si stupisce se per imparare a dipingere si deve frequentare una scuola d’arte, se per imparare a cavalcare bisogna frequentare un maneggio, se persino per cucinare esistono corsi di ogni tipo… e così via.
E nel frattempo, i lettori continuano a calare.
