Tre volte all’inferno

Tre volte all'inferno (Pop²)Ho recentemente ricevuto da Perdisa Pop, marchio editoriale che fa riferimento al Gruppo Perdisa Editore, un interessante volume scritto da Christian Borghetti: Tre volte all’inferno. La copertina, rigida, ben si adatta a un libro che sfoggia in copertina un gatto nero che non può non rimandare alle atmosfere dei racconti del terrore di Edgar Allan Poe. Anche la presentazione dell’amico Alan D. Altieri – “La nuova frontiera del gotico”, in copertina – fa leva su questi riferimenti. Un doppio biglietto da visita che, per un appassionato mio pari, costituisce un irrefrenabile motivo di lettura.

Tre volte all’inferno è un trittico composto da tre racconti che trovano già nel titolo – e nel relativo sottotitolo – una propria, precisa, collocazione: Il bacio di Medusa (il nero veleno è già nei tuoi occhi), Il canto di Lucifero (ballata in Dio minore) e Il labirinto del basilisco (il sagrato, l’ombra e la paura). Con “precisa collocazione” mi riferisco non solo ai contenuti ma anche allo stile e persino alla forma scritta. Ne Il bacio di Medusa, si rimane impietriti seguendo le arzigogolate astuzie di Asmodeo Colonna, nobile nemico del Colonnello Flauros Ferramano, ispettore e capo dei gendarmi. Un gioco tra luci e ombre, tra parole e silenzi che ha sullo sfondo, non a caso, la magione di Bosco Oscuro e le nefande gesta di un assassino. Il canto di Lucifero, invece, diventa indiretto riferimento a quel Grand Guignol dove il sangue di scena si mescola a quello, reale, degli attori che ne calcano le assi. In un doppio dramma che vede da un lato la rappresentazione teatrale e dall’altro quella umana, il drammaturgo – colui che tiene le fila dello spettacolo – si scopre burattino di un’umanità perversa e imprevedibile. Una fine che non è altro che il preambolo di un nuovo inizio, completamente diverso eppure diabolicamente conseguente. L’ultimo racconto, infine, esplora gli abissi delle ombre mentre, sullo sfondo, una contrada italiana ospita le indagini della Chiesa. Indagini legate ai misteri che quella stessa contrada hanno sconvolto e che, parimenti, sconvolgono.

Ciò che più si apprezza del tratto di Borghetti – classe 1970, studi in Filosofia Estetica – è l’aderenza stilistica e contenutistica, a quella scrittura gotica rievocata da Altieri. Le parole sono pulite e altisonanti, le frasi ben costruite e non di rado poetiche, la narrazione è ricca di metafore, similitudini e artefici retorici. Una scelta difficile ma ben conseguita che, per qualcuno, può rappresentare uno stimolo alla lettura mentre per altri può provocarne un allontanamento, un senso di distacco. Io – personalmente – rientro nel primo gruppo ma avverto comunque l’esigenza di un’attualizzazione stilistica; di una maggiore integrazione fra le indubbie capacità di Borghetti e le esigenze di un mondo, quello contemporaneo, dove la forma dev’essere ricostruita per lasciare più spazio ai contenuti. Ho letto questo libro con piacere e dopo sono andato a rileggermi Il castello di Otranto di Horace Walpole. L’ho fatto per tracciare una linea sottile di continuità, per capire se il 2011 può essere il tempo giusto per una rinascita del romanticismo e soprattutto per confrontarmi nuovamente con William Marshal e con i semi della sua ingegnosa scrittura. Semi che hanno ben germinato in Christian Borghetti al quale ora, però, spetta il compito di recidere le fronde troppo ingombranti. In fin dei conti, gli alberi che danno i frutti migliori sono quelli ben potati.

Tre volte all'inferno (Pop²)Tre volte all’inferno

di Cristian Borghetti
Perdisa Pop
Prezzo 18,50
euro
Pagine 320
Isbn 978-88-8372-546-3

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