Vuoti a prendere

Lo spazio nero – II – 34

Febbraio è passato senza “Lo spazio nero”. Me ne scuso: mi ero ripromesso una cadenza mensile che – per motivi d’impegno – non ho potuto rispettare. Eppure, va bene anche così. In fine dei conti che “Lo spazio nero” abbia al suo interno un vuoto – uno spazio nero, appunto – è una tautologia che mi sento di accettare.

Non potrei fare altrimenti, d’altro canto: poiché non l’ho scritto per tempo, ora – che quel tempo è passato – non posso colmare quella lacuna. Spazio, tempo e lacuna. Lacuna spaziale e/o lacuna temporale? Entrambe, probabilmente. Oppure altro ancora: un vuoto – di spazio e di tempo – che esiste in quanto tale e permette a ciò che c’è attorno – il non vuoto – di essere riconoscibile.Troppo contorto, troppo filosofico? No, semplicemente naturale. Dove per natura si intende anche – e non solo – l’ordine che regola e gestisce il Tutto. In fisica questo processo ha una vasta serie di applicazioni: dalla dimostrazione “per assurdo” agli assurdi – non in quanto tali – della meccanica quantistica. E anche nell’arte, nella letteratura, probabilmente è così.

E lo aveva capito, molto tempo fa, anche un distinto signore di nome Franz Kafka.

Kafka nasce a Praga il 3 luglio del 1883 e quando, il 3 giugno del 1924, muore – per tubercolosi, nel sanatorio di Kierling,– sono in pochissimi a dolersi per la scomparsa di un genio letterario. Per gli altri, semplicemente, Kafka – così come noi lo conosciamo e intendiamo – non esiste. E lo stesso Kafka non avrebbe neanche voluto esistere.

All’amico Max Brod – uno dei pochi iniziati a cui permette di leggere le proprie opere –, infatti, fa promettere di distruggere, una volta morto lo stesso Kafka, tutto il materiale non pubblicato precedentemente. Più in particolare, gli fa promette di bruciarlo.

Max Brod, invece, tradisce Kafka e fin dal 1925 dà alle stampe prima “Il processo” e poi, a seguire, “Il castello” e gli altri tasselli del genio praghese. Un tradimento “fortunato”, purtroppo, grazie al quale i posteri – cioè noi, per il momento – hanno potuto godere delle sue intuizioni. Grazie al quale, inoltre, non si è creato un vuoto nella cultura dell’inizio del ‘900.

Che il vuoto, l’oscurità, l’assenza fossero temi importanti per Kafka è ben noto ma che lo stesso autore li considerasse fondamentali – per contrasto – anche per la “luminosità” stessa delle proprie opere è un qualcosa che conosciamo principalmente grazie a Marthe Robert. Quest’ultimo, critico letterario e principale traduttore del catalogo kafkiano in francese, ha dedicato a Kafka tempo, studi e alcuni libri. In “L’ancient e le noveau”, Parigi 1963 – pubblicato in Italia da Rizzoli nel 1969 con il titolo “L’antico e il nuovo” – si può leggere questa frase pronunciata da Kafka stesso e ritrascritta nei suoi aforismi:

“L’arte vola intorno alla verità, ma con la ben precisa volontà di non bruciarsi. Il suo talento consiste nel trovare, nel vuoto oscuro, un luogo dove, senza che fosse possibile saperlo prima, i raggi luminosi possano essere potentemente intercettati.”

Ancora vuoto e oscurità. Fuoco e verità. E in fondo – “senza che fosse possibile saperlo prima” – la luce. Potente e inconsapevolmente intercettata.

Grazie a Brod, Kafka non ci ha lasciato un vuoto. Forse.

Perché è vero che il suo amico lo ha tradito ma così non ha fatto la sua compagna Dora Dymant che oltre ad aver studiato con lui l’ebraico, ha consegnato alle fiamme un’altra parte dei suoi manoscritti.

Di modo che l’arte potesse realmente volare intorno alla verità e infine, bruciarsi.

3 thoughts on “Vuoti a prendere”

  1. Non sapevo nulla di Dora Dymant. Sembra un nome da Bond Girl! Mi ha fatto pensare la similitudine fra il nome Lo spazio nero e il concetto di vuoto oscuro utilizzato da Kafka. Lo hai scelto apposta?

  2. Il vuoto è un qualcosa di affascinante e meraviglioso. Non mi sono mai data una risposta se il vuoto sia qualcosa che è o qualcosa che non è.
    Comunque è qualcosa di meraviglioso. Perché senza il vuoto non avremmo cognizione di che cos’è pieno. Una volta che uno prova il vuoto, della solitudine ad esempio, poi impara ad apprezzare il pieno, ad esempio, dei sentimenti.
    Insomma, quelle stesso cose (sentimenti, sitauzioni, beni… ) che prima uno trattava con banalità o sufficienza, venuti a mancare e poi riavuti, brillano di un’intensità nuova. Forse in contrasto con il nero del vuoto.

    Federica

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